CANTO DI CICALA
A quasi tre settimane dalla scorsa
Assemblea Plenaria del Cgie - tenutasi dal 4 al 6 ottobre a Roma, alla
Farnesina - si torna a discutere sull'utilità, o meno, del Consiglio.
Molto si è scritto, molto si
è detto, e in tutta onestà pensavo che questo fosse un problema
chiuso. Ho avuto l'opportunità, durante i tre giorni dell'Assemblea,
di sentire a riguardo diversi consiglieri - anche di opposti schieramenti
- e tutti erano convinti dell'assoluta necessità di mantenere vivo
il Consiglio Generale degli Italiani all'Estero, "unico vero organo istituzionale
di raccordo e collegamento fra i Comites di tutto il globo, e gli eletti
all'estero nel Parlamento italiano."
Le voci più importanti del
mondo dell'emigrazione si erano espresse a favore del Cgie; le firme più
presenti sui giornali italiani editi all'estero e sulle agenzie stampa
dedicate all'informazione dei nostri connazionali, avevano scritto che
il Consiglio Generale era necessario; persino il ministro degli Esteri
D'Alema, il viceministro degli italiani nel mondo Danieli ed il segretario
Narducci avevano dichiarato con sicurezza che questo organismo andava mantenuto,
anche se riformato in molti aspetti.
Inoltre, ricordiamo tutti il dibattito
fra coloro che affermavano "basta membri di nomina di governo", e quelli
che invece erano a favore dei nominati: alla fine, si è capito che
anche i membri di nomina svolgono la loro importante funzione, perchè
tutte persone che per anni hanno lavorato per gli italiani che risiedono
oltreconfine. La loro esperienza è necessaria all'interno di un
organismo che ha, prima di tutto, il dovere ed il compito di proteggere
ed assistere le comunità italiane all'estero.
Negli Stati Uniti - forse per la distanza
geografica che c'è fra Usa e Italia, forse perchè i mezzi
di comunicazione non sono riusciti ad informare adeguatamente la gente,
forse perchè i lettori non hanno prestato la necessaria attenzione
- il messaggio pare non essere arrivato.
Alcuni Presidenti Comites USA
tornano a mettere in forse l'utilità del Cgie, chiedendo la sua
sostituzione con un "comitato esecutivo" dei Comites. Questo è ciò
che bisognerebbe fare secondo l'ormai famoso "programma Cicala", approvato
dai Presidenti Arcobelli (Houston), Bracco (San Francisco), Catalano (Detroit),
Cianfaglione (New York), Cicala, (Washington D.C.) Liberati (Chicago),
Luise (Boston), Ribaudo (Newark), Sassi (Miami) e Zuccarello (Los Angeles).
Nel "programma Cicala", si legge :
"Mansioni che in precedenza erano affidate al CGIE sono ora passate ai
Parlamentari eletti nel collegio estero ed ai Comites", "è
quindi superfluo considerare la necessità di un ulteriore
organismo cha faccia da tramite fra Comites e Parlamento". Mi dispiace,
non siamo d'accordo.
Forse Cicala non sa che i nostri cari
18 paladini che occupano le poltrone di Camera e Senato hanno tante, tantissime
cose da fare. Sono parlamentari eletti all'estero, ma non per questo diversi
dai loro colleghi eletti in Italia: come loro, devono occuparsi di argomenti
legati alla società italiana, alla politica interna, a tutto ciò
che succede nel Bel Paese. Dovranno pensare alle infrastutture necessarie
per il progresso, fare i conti con questa finanziaria, partecipare a tutte
le votazioni, riunirsi con i capigruppo dei partiti, conferenze, interviste,
riunioni...
Non credo proprio che abbiano il tempo
sufficiente da dedicare agli italiani che vivono all'estero, almeno non
al cento per cento. Al contrario, il Cgie è un'istituzione che pone
i connazionali al centro della sua attenzione: tutto il lavoro è
basato sulla voglia di
migliorare la qualità della
vita di chi vive lontano dall'Italia, sul desiderio di fare di più
e fare meglio.
Non possiamo e non dobbiamo riprendere
una discussione che era già stata chiusa dallo stesso Ministro D'Alema
- ogni tanto qualcosa di buono lo fa anche lui - che, durante l'ultima
Assemblea Plenaria aveva definitivamente tolto ogni dubbio: il Cgie resta,
punto.
Cicala e tutti i suoi colleghi, si
mettano pure l'anima in pace.
Ricky Filosa - L'Italiano
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